giovedì 10 novembre 2011

TRAMA "LA CHIMERA" DI VASSALI & "IL GATTOPARDO" DI TOMASI DA LAMPEDUSA.

CERCANDO ZARDINO
Un percorso visivo attraverso la pianura della Chimera
in compagnia di Sebastiano Vassalli

La chimera, edito da Einaudi, premio Strega 1990, il libro di Vassalli più tradotto nel mondo, una delle opere di narrativa tra le più lette nelle scuole italiane, è un romanzo storico che apre ampie finestre sul Seicento nella terra di pianura novarese. Il romanzo è al centro di un’intervista-documentario Cercando Zardino in cui Sebastiano Vassalli racconta se stesso, il libro, la sua narrativa e i luoghi della Chimera.
L’obiettivo della telecamera del regista del film in dvd Mario Tosi ha rintracciato lo scrittore nella sua casa perduta nella pianura compresa tra la ferrovia per Torino e il fiume Sesia. Con Vassalli il documentario va alla ricerca di Zardino, il villaggio del XVII secolo evocato nella narrazione e oggi scomparso, come recita il racconto, travolto da una probabile piena del fiume. Cercare Zardino significa soprattutto tentare di scorgere i volti della pianura che lo ha circondato e nello stesso tempo inghiottito, andare alla scoperta dei luoghi, delle storie, delle memorie che si nascondono tra pioppeti, argini e risaie.
Con l’aiuto di Roberto Cicala, curatore con Giovanni Tesio del volume La chimera. Storia e fortuna del romanzo di Sebastiano Vassalli (Interlinea), Vassalli traccia un efficace ritratto della pianura della Chimera. Incontriamo i protagonisti: Antonia, il vescovo Bascapè, il paesaggio di pianura; ma l’attenzione si sofferma anche sulla fatica della risaia, sul “macigno bianco” Monte Rosa, sul senso del sacrificio e della festa che chiudono il romanzo. Moltissimi gli spunti nella mezz’ora di filmato-intervista.
Tra le risposte ascoltiamo: «L’uomo ha modificato il paesaggio e il paesaggio a sua volta ha modificato l’uomo». Vassalli ci conduce per mano attraverso il suo spazio narrativo che affonda le radici in documentazioni storiche e ricerche approfondite, ma che si avvale anche dell’apporto creativo e di un sapiente tocco fantastico. «I veri storici sono anche dei grandi scrittori» commenta sornione Vassalli. Come dargli torto?
Le musiche composte e strumentate da Fabrizio Gallina Sabarino ci seguono discrete e coinvolgenti nel percorso alla ricerca del vero battito della pianura. Lucilla Giagnoni, che ha portato nei teatri di tutta Italia La chimera, interpreta con intensità alcune pagine del libro.
Il documentario è stato prodotto grazie da Project e Novaracinefestival con il contributo di Promoriso, Provincia di Novara, Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara, Centro Novarese di Studi Letterari.

"IL GATTOPARDO"

Il principe Fabrizio Salina, la cui vicenda quotidiana stava per essere narrata sotto il titolo La giornata di un siciliano, è un uomo complesso e ansioso della fine, della meta, del risultato. Caratterizzato da un profondo e cieco conflitto interiore, tormentato dai sensi di colpa (verso la moglie andando da Mariannina o per avere votato “sì” al plebiscito contro le proprie convinzioni), mostra una calma tutta esteriore, che cela un’ira repressa e si palesa nel pugno stretto fino a conficcare le unghie nella carne. Il principe ha pensieri che sfuggono al mondo circostante degli amici e della famiglia, accosta riflessioni inintelligibili agli altri, che lo conducono all’inesorabile rifugio di sé e all’osservazione del cielo e degli astri, sua enorme passione. Un solo personaggio ne intuisce la natura tormentata e l’irrequieto agitarsi dell’animo ed è Tancredi, il nipote che sa sciogliere i dubbi dello «ziòne», il solo in cui l’uomo-gattopardo possa in qualche modo vedersi riflesso, mentre il suo sguardo assiste impotente al crollo delle istituzioni e dei costumi sociali, alla fine di un’epoca.
Nell’ammirazione di don Fabrizio per Tancredi si percepisce uno slancio immodesto ed egoistico, perché in fondo, scrive Lampedusa, «lui stesso è come Tancredi». Il rapporto con gli altri personaggi del romanzo è decisamente d’altra specie: il rispetto di Padre Pirrone e Ciccio Tumeo non è corrisposto dall’alterigia tutta aristocratica del principe Salina, vero pater familias, autoritario e virile almeno nei primi capitoli del romanzo, quando l’avvicinarsi di un’inevitabile fine non ha ancora ammuffito la sua linfa vitale. Il tormento del principe è crescente nell’avvicendarsi delle pagine: «Appartengo ad una generazione disgraziata, a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due».
C’è una costante ironia nelle pagine de Il Gattopardo, espressa, tra l’altro, dall’animazione metaforica degli oggetti o dall’uso esasperato di termini latini, latineggianti, pomposi, a volte barocchi. E non avrebbe potuto essere altrimenti poiché, come molti sanno, l’ironia tipicamente siciliana, beffarda e tagliente, contraddistingue il ricordo di Lampedusa ogni qualvolta leggiamo di lui. L’autore non fa quasi mai capolino nella vicenda ma, nella rarità delle intromissioni, la sua idea si esprime attraverso massime ricche di sarcastica verità: «attribuire ad altri la propria infelicità […] è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati». Le descrizioni assolate, dominate dal senso di morte e dalla pesante pigrizia di un clima quasi africano, fanno intravedere splendidi paesaggi, indimenticabili raffigurazioni, tra cui quella dei giardini di Villa Salina e la fontana di Anfitrite; e indimenticabile è anche l’amato alano di don Fabrizio che — scriveva Lampedusa a Lajolo — «In un romanzo da cui quasi tutti i personaggi escono male è l’unico sicuramente positivo». Bendicò, eterno amico a quattro zampe, è come le stelle, ha il loro stesso compito: tranquillizza il principe, fiuta falsità e ipocrisie (significativo il suo ringhiare contro Angelica). I critici ne hanno giustamente sottolineato il ruolo strutturale all’interno della vicenda: appare all’inizio, facendo irruzione nella sala in cui si recita il rosario e nell’ultima pagina, quando muore trovando riposo «in un mucchietto di polvere livida», a suggellare la fine di tutto.
L’ideologia politica di Tomasi di Lampedusa è riassunta e semplificata, come scriveva Pampaloni, nella terza parte de Il Gattopardo — «senza vento l’aria sarebbe stata uno stagno putrido, ma anche le ventate risanatrici trascinavano con sé tante porcherie» —, nel discorso di Tancredi e nella sua celebre frase che descrive la situazione storica della Sicilia del 1860: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Infine, in riferimento alla concezione di Lampedusa della storia umana, vale l’espressione di don Fabrizio: «e dopo sarà diverso, ma peggiore».
L’ombra della morte, quasi sempre presente, è «come un ronzio continuo all’orecchio», nei presagi e nel sonno, nel solleone e negli oggetti; l’ineluttabile destino, a volte vigliacco, altre spudorato, si avverte costantemente in un crescendo vertiginoso. «L’annunciazione della morte comincia per don Fabrizio a palazzo Pantaleone […] nel calore del ballo […], nel suono del valzer che gli sembra l’immagine dell’incessante passaggio del vento sulle terre assetate» (3). E anche nel ballo dei due giovani innamorati, Angelica e Tancredi, il nero cupo e opaco della fine pesa angoscioso e funesto; ed essi sono: «Attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione». Sono marionette in uno squarcio orribile e patetico, mentre li immaginiamo: «Nella reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire».
Nella confessione di don Fabrizio, il momento in cui i nostri occhi sono incapaci di staccarsi dalle righe del romanzo, si ha la sensazione di un procedere velocissimo verso l’epilogo preannunciato, terribile e straziante; i peccati parevano al principe troppo meschini per farne un elenco in quella giornata di afa; e poi: «era tutta la vita ad essere colpevole, non questo o quel singolo fatto; e ciò non aveva più il tempo di dirlo».
La chiave di lettura de Il Gattopardo, senza andare troppo lontano, la troviamo nelle parole stesse di Lampedusa, che in una lettera a Lajolo del 1956 scriveva: «Bisogna leggerlo con grande attenzione perché ogni parola è pesata ed ogni episodio ha un senso nascosto». Ne Il Gattopardo: «Non vi è nulla di esplicito»; e l’«esplicito», per usare il significato lampedusiano del termine, è qualcosa di «rozzamente contadinesco o brutalmente melodrammatico»


lunedì 7 novembre 2011

INCONTRO DEL 17 NOVEMBRE 2011

l'appuntamento con I Libridinosi è 

GIOVEDI' 17 NOVEMBRE ALLE ORE 21.00 IN BIBLIOTECA A MOCASINA.

Per il Gruppo Premiati si discuterà del libro di Sebastiano Vassali "LA CHIMERA"

due incontri in una serata magica

Il Gruppo Libro-film affronterà un classico della letteratura e della filmografia italiana 

 "IL GATTOPARDO" di Tomasi di Lampedusa.



Vi aspettiamo numerosi nel corso della serata ci sarà un breve rinfresco autopromosso dai Participanti